Autore: GERARDO CONSIGLIO
•
29 marzo 2023
In nome del Popolo Italiano La corte d’appello di Bari – Seconda Sezione Civile, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei magistrati: 1) Dott. Egiziano di Leo - Presidente relatore 2) Dott. Matteo Antonio Sansone - Consigliere 3) Dott.ssa Maria Teresa Giancaspro – Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA n. 1034/2019 nella causa civile di appello avverso la sentenza n. 969 emessa dal tribunale di Foggia ( Ex Tribunale di Lucera). In composizione monocratica, il 27 novembre/2 dicembre 2014, iscritta al n. 320 R. Gen. 2015; Oggetto: opposizione di terzo ex art. 619 e opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. TRA ***************************, in proprio e quale erede universale di ****************, e **********************, rappresentati e difesi, in forza di mandato a margine dell’atto d’appello, dagli avvocati Pasquale e Gerardo Consiglio, ed elettivamente domiciliati presso lo studio legale dell’Avv. Vito Aurelio Pappalepore, in Bari; APPELLANTI ******************************************., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Paolo Pepe, in forza di mandato in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Antonio Caterino; APPELLATA All’udienza collegiale del 16 novembre 2018 la causa viene assegnata a sentenza sulle seguenti conclusioni, formulate dai procuratori delle parti: per gli appellanti: l’avvocato Consiglio deduce che, con sentenza n. 632 del 31 gennaio 2018 passata in giudicato, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado e, richiamando diverse decisioni della Corte di cassazione, ha ribadito che la liberazione dei fidejussori dall’obbligo di pagamento posto a carico dello Stato è avvenuto a seguito della legge n. 237 del 1993; si riporta alle precedenti difese e conclusioni, chiedendo il rigetto delle avverse eccezioni; per l’appellata: l’avvocato Paola Liocchetti, in sostituzione dell’avvocato Pepe, si riporta a tutte le conclusioni rassegnate. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 619 c.p.c. depositato all’udienza del 23 marzo 2009, i sigg.ri**********************************proponevano opposizione di terzo nell’ambito della espropriazione forzata di cui alle procedure esecutive immobiliari riunite n. 178/92 e n. 52/2006, pendenti davanti al tribunale di Lucera, riguardanti il credito complessivo di £ 655.921.763, azionato dal Banco di Napoli in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Foggia in data 28 aprile 1988 in danno della società cooperativa*********************e dei soci fidejussori, tra i quali gli espropriati sigg.ri**********************************coniugi, rispettivamente dei sigg.ri **********************************. Le opponenti chiedevano che, previa sospensione della procedura esecutiva e fatta salva la nullità del pignoramento concernente gli immobili di cui al rogito per notar Bandini,(1) venisse accettato che tutti i beni pignorati erano di pertinenza della comunione legale; (2) fosse statuito che il titolo posto a base dell’espropriazione forzata riguardava garanzie personali prestate dai germani********************************** quali fidejussori della società cooperativa **********************************, in favore della banca ***************************, e che pertanto il credito azionato dalla banca*****************************, subentrata a quest’ultimo, da un lato, era estraneo alla comunione legale e, dall’altro, era da considerarsi estinto in forza della legge n. 273/93; (3) fosse dichiarato che i beni della comunione legale non erano assoggettabili ad esecuzione forzata per crediti estranei alla stessa e, in subordine, che l’esecuzione poteva avere luogo, previa escussione del patrimonio personale del debitore, limitatamente alla sua quota. Si costitutiva in giudizio la banca ***********************, quale mandataria e procuratrice *******************************, cessionaria del credito, opponendosi all’accoglimento dell’istanza di sospensione e chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con ordinanza in data 7/14 dicembre 2009, il Giudice dell’Esecuzione accoglieva la richiesta di inibitoria, limitatamente ai lotti n. 2 e n. 3, ed emetteva contestualmente separato provvedimento con cui si disponeva la vendita dell’immobile di cui al lotto n. 1, compensando integralmente le spese del procedimento incidentale e assegnando termine per l’introduzione del giudizio di merito. Avverso tale ordinanza proponevano reclamo , ai sensi degli artt. 624 e 669- terdecies c.p.c. , i sigg.ri*****************************, con ricorso in data 29 dicembre 2009, chiedendo la sospensione della procedura esecutiva anche con riferimento al lotto n. 1. Al reclamo resisteva la banca *****************, nella spiegata qualità chiedendone il rigetto. Con comparsa del 27 gennaio 2010, si costituivano i debitori esecutati ***********************, facendo proprio quanto dedotto dalle rispettive mogli, sia in sede di opposizione di terzo che nell’ambito della procedura di reclamo. Precisavano che, con sentenza n.5454 del 10 settembre 2009, il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello da essi proposto, unitamente agli altri fidejussori della fallita società cooperativa***************, aveva stabilito il principio secondo cui : “l’assunzione a carico del bilancio dello Stato delle obbligazioni di garanzia di cui alla L. n. 273/1993 e la relativa facoltà dello Stato delle obbligazioni di garanzia di cui alla legge n. 237/1993 e la relativa facoltà dei creditori di reclamare l’adempimento da parte dello Stato si verificano “ope legis” nel concorso dei requisiti fissati dalla norma…..”. Con ordinanza depositata il 4 marzo 2010 il Collegio rigettava il reclamo. Nel frattempo, le opponenti, con atto di citazione notificato il 05 gennaio 2010, provvedevano all’introduzione del giudizio di merito, nel quale si costituiva la banca *********************** , per chiedere il rigetto dell’opposizione. Si costituivano, altresì, i debitori esecutati Sigg.ri **********************************con comparsa depositata il 23 aprile 2010, riportandosi a tutto quanto già dedotto in sede id reclamo e assumento, tra l’altro, che, a seguito della ciatata sentenza del Consiglio di Stato, erano in corso con il Ministero delle Politiche Agricole trattative per l’assunzione a carico dello Stato del credito in excutivis dalla banca, ai sensi della legge n. 237/1993. Intanto, nell’ambito della procedura di espropriazione forzata, con ordinanza del 18/20 maggio 2014 il Giudice dell’Esecuzione- rilevato (a) che dalla nota in data 14 ottobre 2013 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, si evinceva che le garanzie prestate dai soci della società cooperativa****************, tra cui i germani ************************, erano state inserite nell’elenco allegato al D.M. del 1995, (b) che con sentenza n. 802 del 2012 il Tribunale di Roma aveva accertato il diritto dei soci garanti ad esigere l’assunzione della garanzia per legge dello Stato, avuto riguardo alla prestazione della fidejussione del 1986, condannando il Ministero al risarcimento dei danni; (c) che, con nota del 16 ottobre 2013, il Ministero aveva comunicato che la messa a disposizione delle somme necessarie per l’estinzione del debito sarebbe avvenuta solo con il passaggio in giudicato della richiamata sentenza, confermando l’iscrizione nell’apposito elenco dei soci garanti e l’applicabilità dell’art. 126, comma 4, L. n.388/2000, in forza del quale, le procedure esecutive nei confronti dei soci garanti, inseriti in detto elenco, erano sospese sino alla comunicazione da parte del Ministero della messa a disposizione delle somme occorrenti da parte delle P.A. Con sentenza n. 969 del 27 novembre / 2 dicembre 2014, il Tribunale di Foggia (ex Tribunale di Lucera), in composizione monocratica, decidendo definitivamernte sull’opposizione esecutiva, così statuiva: < >. Avverso tale pronuncia proponevano appello, con atto di citazione notificato il 27 febbraio 2015, ***********, in proprio e quale erede universale di **************, e **********************, reiterando le deduzioni, richieste e conclusioni formulate in primo grado, e chiedendo che, in totale riforma dell’impugnata sentenza, fosse accolta l’opposizione, con la conseguente declaratoria di nullità ed inefficacia dei pignoramenti con cui avevano avuto inizio entrambe le procedure esecutive. Chiedevano, altresì, che venisse emesso ogni conseguenziale provvedimento di legge finalizzato alla cancellazione delle procedure esecutive n. 178/92 e n. 53/06 e delle trascrizioni dei relativi pignoramenti. Chiedeva, infine, la condanna della banca appellata alla restituzione dell’importo di € 6.620,00 pagato da esse appellanti per le spese liquidate dal primo giudice; il tutto con vittoria delle spese e competenze del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore dei difensori antistatari. Costituitasi in giudizio, la banca ******************************, eccepiva, preliminarmente l’inammissibilità dell’appello e contestava, nel merito, la fondatezza dello stesso, chiedendone il rigetto, con ogni conseguenza di legge in ordine alle spese. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità ex art. 348 c.p.c. sollevata dalla società appellata, all’udienza collegiale del 16 novembre del 2019 la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva assegnata a sentenza. - MOTIVI DELLA DECISIONE – In via preliminare, deve essere esaminata, per evidente ragioni di priortà logico- giuridica, l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, sollevata dalla società appellata. Assume quest’ultima che gli appellanti avrebbero erroneamente citato nel presente giudizio la banca ******************************, sia pure nella sua ( non più esistente) qualità di mandataria della banca ******************************; la medesima banca, nell’indicata qualità, è stata poi destinataria della notificazione dell’atto di appello. Secondo l’appellata, gli appellanti avrebbero dovuto convenire nel giudizio di appello, non già la parte rappresentata ( vale a dire, la mandataria e procuratrice, banca ********************************), bensì la parte rappresentata ( la mandante, banca ************************ ), ossia la parte sostanziale del rapporto processuale. Da ciò conseguirebbe l’inammissibilità della impugnazione, per essere la sentenza impugnata ormai passata in giudicato, stante il decorso anche del termine breve decorrente dalla sua notifica (28 gennaio 2015), e, comunque, della notifica dello stesso atto di appello. L’eccezione è infondata e va, pertanto, disattesa. Costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui la mancanza nella citazione di tutti i requisiti indicati dall’art. 164, primo comma c.p.c. e, quindi, tutti gli elementi integranti la vocatio in jus, non vale a sottrarla( anche se trattasi di citazione in appello) all’operatività dei meccanismi di sanataria ex tunc previsti dal secondo e terzo comma della medesima disposizione. Ne consegue che, quando la causa, una volta iscritta al ruolo, venga chiamata all’udienza di comparizione (che, per la mancata indicazione dell’udienza, deve essere individuata ai sensi dell’art 168-bis, quarto comma, c.p.c.), il giudice, anche in appello, ove il convenuto non si costituisca, deve ordinare la rinnovazione della citazione, ai sensi e con gli effetti dell’art. 164, primo comma, c.p.c., mentre se si sia costituito deve applicare l’art. 164, terzo comma, c.p.c., salva la richiesta di concessione di termine per l’inosservanza del termine di comparizione (cfr . Cass. n. 22024/09; n. 12719/16; n. 13079/19). In coerenza con tale principio, persino la “vocatio in ius” di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti sia succeduto un altro soggetto, resta sanata per effetto della costituzione in giudizio di quest’ultimo, trattandosi di un vizio meno grave rispetto a quello da cui è affetta la “vocatio” mancante dell’indicazione della parte processuale convenuta, che è sanabile mediante costituzione in giudizio di chi, malgrado il vizio, si sia riconosciuto come convenuto. La predetta sanatoria opera indipendentemente dalla volontà del convenuto ed a prescindere dal contenuto delle difese svolte in concreto dal medesimo convenuto (cfr., Cass. n. 14066/08; n. 20650/09; n.6202/14). Sembra opportuno premettere che il Tribunale ha rigettato l’opposizione ex art. 619 c.p.c., proposta da *************e *********** seguendo due diversi percorsi argomentativi: l’uno, riguardante in modo specifico i limiti dela legittimazione attiva spettante alle opponenti e l’altro, concernente l’inammissibilità di taluni motivi di opposizione, perché dedotti tardivamente. Quanto al primo profilo, il Tribunale ha negato la legittimazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 237 del 1993, dell’obbligazione fidejussoria prestata dai coniugi delle opponenti, *******************e **************, a garanzia di un debito della società cooperativa ******************************* a favore, e posta a fondamento dell’azione esecutiva intrapresa dalla banca ***********************, richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinato dagli artt. 619 e ss. C.p.c., il terzo opponente non è legittimato ad eccepire i vizi della procedura esecutiva ovvero ad impugnare la validità del titolo posto a base di essa e, comunque, a contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata, vale a dire a far valere doglianze relative al rapporto obbligatorio tra esecutante ed esecutato, essendo egli estraneo a tale rapporto (cfr. Cass. n. 3628/80; n. 10810/00; n. 8397/09). Ha pure escluso che le terze opponenti – e gli stessi debitori esecutati – siano legittimate ad eccepire l’impignorabilità dei terreni di cui al lotto n. 1) del bando di vendita per non essere detti fondi rustici, alla data del pignoramento, ancora di proprietà degli esecutati, avendoli quest’ultimi acquistati non espressa riserva di proprietà a favore della venditrice, Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina; e tanto in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale riconosce la legittimità ad esperire il rimedio di cui all’art. 619 c.p.c. unicamente all’alinenante dell’immobile con patto di riservato dominio (cfr. Cass. n. 4000/06). Quanto al secondo profilo, il Tribunale ha disatteso le ulteriori eccezioni sollevate dalle terze opponenti, volte a far valere l’estraneità alla comunione dei debiti posti a fondamento dell’azione esecutiva e la mancata preventiva escussione dei beni personali dei coniugi debitori, ai sensi dell’art. 189, comma 1, c.c., sostenendo che si trattava di nuovi motivi di opposizione, formulati per la prima volta nella memoria istruttoria del 10 giugno 2010, come tali inammissibili, perché tendenti ad una “mutatio libelli” non consentita. Il primo giudice ha, infine, ritenuto che le argomentazioni svolte nei confronti delle opponenti ex art. 619 c.p.c. valgano anche nei riguardi dei debitori esecutati, i quali, “costituitisi tardivamente…., si sono limitati ad aderire alle conclusioni rassegnate dalle opponenti nell’atto di citazione”. Va, innanzitutto, premesso che nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, ex art. 619 c.p.c., il debitore esecutato è litisconsorte necessario in senso sostanziale e processuale ( cfr., ex plurimis, Cass. n. 1911/75; n.6156/79;n.6333/99; n.9645/00;14463/03). Costituisce, poi, ius receptumil principio secondo cui, ai sensi dell’art.268, comma 2, c.p.c, il terzo che interviene spontaneamente in giudizio per integrare il contraddittorio può compiere tutte le attività per cui è legittimato, senza subire le preclusioni già maturate in danno delle parti. In applicazione di siffatto principio, deve ritenersi che il litisconsorte necessario, inizialmente pretermesso e successivamente intervenuto o chiamato in causa, possa proporre ogni tipo di eccezioni e qualsiasi domanda che reputi utile per tutelare i propri diritti. Invero, il terzo litisconsorte pretermesso avrebbe dovuto essere presente in giudizio fin dall’inizio e deve, pertanto, essere posto nella condizione di esercitare tutti i poteri che avrebbe potuto esercitare, ove fin da subito fosse stato attuato il contraddittorio nei suoi riguardi. Nella specie, i debitori esecutati, ***********************************, furono inizialmente pretermessi e, dopo essere intervenuti nella fase cautelare dell’inibitoria, in sede di reclamo al Collegio avverso il provvedimento di accoglimento parziale dell’istanza di sospensione emesso dal G.E., per sostenere le ragioni delle terze opponenti, si costituirono nel giudizio di merito, con comparsa depositata il 23 aprile 2010, riportandosi alla comparsa prodotta in sede di reclamo e associandosi a tutte le richieste, eccezioni e difese formulate dalle opponenti ex art.619 c.p.c. Nell’occasione, precisavano che, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n.5454 del 10 settembre 2009, erano in corso trattative con il Ministero delle Politiche Agricole per l’assunzione, ex legen.237 del 1993, a carico dello Stato del credito della banca azionato in executivis in danno di essi fideiussori. Nel prosieguo del giudizio, i germani *****************depositavano in data 7 luglio 2010 memoria ex art.183 c.p.c., con la quale, oltre a confermare la piena condivisione con quanto dedotto e richiesto dalle rispettive mogli, terze opponenti, dichiaravano che era pendente davanti al Tribunale di Roma un giudizio diretto a stabilire l’accollo al bilancio dello Stato del debito scaturente dalle “fideiussioni azionate con il decreto ingiuntivo posto a base della opposta esecuzione immobiliare”, producendo, in copia, la lettera inviata il 27 maggio 2010 al Ministero delle Politiche Agricole e agli altri componenti del Governo, la nota di riscontro in data 11 giugno 2010 da parte del suddetto Ministero e la citazione da essi proposta in danno del Ministero, introduttiva del giudizio pendente davanti al Tribunale di Roma. All’udienza del 2 maggio 2012, i debitori esecutati producevano in giudizio copia della sentenza del Tribunale capitolino n.802/2012, il quale, investito della vertenza relativa alla mancata applicazione della legge n.237/93 all’esito della citata pronuncia del Consiglio di Stato n.4545 del 2009, aveva disposto l’accollo al bilancio dello Stato delle fideiussioni rilasciate anche dai germani *****************, in favore della fallita società cooperativa******************, nell’interesse del banco ********************(a cui è subentrata la *************************), condannato il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali all’adempimento delle obbligazioni nascenti dalle fideiussioni medesime, mediante manleva dei garanti dal pagamento di quanto dagli stessi dovuto, oltre il pagamento, in favore di ciascuno degli attori, della somma di € 90.000,00 a titolo di risarcimenti dei danni. Alla successiva udienza del 19 dicembre 2012, i debitori esecutati producevano copia dell’ordinanza in data 17 ottobre 2012, con la quale era stata rigettata l’istanza di inibitoria proposta dall’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del suddetto Ministero, dalla Corte d’Appello di Roma ( la quale, con successiva sentenza del 31 gennaio 2018, rigettava l’appello, confermando l’impugnata sentenza). Infine, all’udienza del 17 dicembre 2013 i germani *********** producevano copia del Decreto ministeriale del 14 ottobre 2013, con il quale le garanzie prestate dai soci fideiussori della società cooperativa **************** in favore del banco ***************(poi, banca *************** ed ora banca *****************) vennero “inserite nell’Elenco n.1 allegato al Decreto Ministeriale 18 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.1 del 2.1.1996 in coda a tale Elenco”. Tanto puntualizzato, ritiene la Corte che – contrariamente a quanto sostenuto dalla odierna appellata e opinato dal Tribunale – i germani, **************************, debitori esecutati pretermessi e litisconsorti necessari, intervenendo volontariamente nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione instaurato dalle rispettive mogli, ************************************, per integrare il contraddittorio, e riportandosi alle eccezioni e richieste formulate da queste ultime, delle quali chiedevano l’accoglimento, abbiano a loro volta inequivocabilmente proposto opposizione, ex art.615 c.p.c., all’esecuzione immobiliare intrapresa dalla banca *****************. In particolare, facendo proprio il motivo di opposizione concernente la sopravvenuta estinzione della garanzia fideiussoria prestata dai soci della società cooperativa ****************, in forza del dettato normativo di cui alla legge 19 luglio 1993 n.237 (di conversione con modificazioni del decreto legge 20 maggio 1993 n.149), ********************* e ************************ (e, a seguito della morte di quest’ultimo, la sua erede universale, ***********************) hanno contestato il diritto dell’istituto di credito pignorante ( e procedente) a procedere ad esecuzione forzata per sopravvenuta liberazione ex lege dalla obbligazione fideiussoria, proponendo una vera e propria opposizione all’esecuzione. Il primo giudice non si è pronunciato specificamente su tale domanda formulata dai debitori esecutati, essendosi limitato ad affermare, tanto genericamente quanto erroneamente, che i germani ************* si erano costituiti tardivamente, aderendo alle conclusioni rassegnate dalle terze opponenti, sicchè le considerazioni svolte nei riguardi di queste ultime valevano anche nei confronti dei debitori esecutati. Vale solo la pena di rammentare che, alla stregua dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità, le opposizioni esecutive avanzate nel corso del procedimento esecutivo possono essere proposte senza l’osservanza delle forme stabilite dagli art.615 e 617 c.p.c., e quindi anche oralmente davanti al giudice dell’esecuzione ovvero mediante deposito di una comparsa o memoria in una udienza del processo esecutivo, essendo tali forme idonee al raggiungimento dello scopo, quando – come nella specie – tra le parti si sia instaurato il contraddittorio sull’oggetto dell’opposizione e la parte contro cui è proposta sia stata messa i condizione di difendersi (cfr., Cass. n.1544/80; n.4840/85; n.10187/98; n.10132/03; n.27162/06). Ritiene la Corte di dover rincorrere, nel caso di specie, all’applicazione del principio della “ragione più liquida”, ben consolidato nella giurisprudenza della Suprema Conte. In particolare, come la Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire, in ossequio al suddetto principio processuale – desumibile dagli art.24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una o più questioni pregiudiziali (Cass. civ., Sez. Unite, 08/05/2014, n.9936); infatti, il principio della “ragione più liquida”, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art.276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art.111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, 28/05/2014, n.12002). Tanto precisato, è convinzione del Collegio che appello proposto debba trovare accoglimento, dovendosi affermare l’inesistenza del diritto dell’attuale creditrice procedente, banca ********************(subentrata all’originario creditore, *******************) ad agire in executivis in danno dei debitori esecutati, per sopravvenuta liberazione di questi ultimi, quali soci della società cooperativa **************, dalle garanzie fideiussorie a suo tempo (luglio 1986) prestate in favore del banco ********************, in conseguenza diretta dell’entrata in vigore della legge n.237 del 19 luglio 1993 (di conversione del D.L. n.149/93), la quale, all’art.1, comma 1 bis, prevede che “le garanzie concesse, prima dell’entrata in vigore del presente decreto, dai soci di cooperative agricole, in favore delle cooperative stesse, di cui sia stata preventivamente accertata l’insolvenza, sono assunte a carico del bilancio dello Stato”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellata, si tratta di un vero e proprio accollo liberatorio ex lege dei soci (debitori garanti) nei confronti dei terzi creditori della cooperativa agricola dichiarata insolvente, che prescinde sia dalla dichiarazione di adesione all’accollo, ai sensi dell’art.1273 c.c., da parte dei creditori medesimi, sia dall’effettivo inserimento (peraltro, nella specie, intervenuto) degli aventi diritto nell’apposito elenco redatto dalla competente Amministrazione. Tale assunto trova riscontro nell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assunzione del debito da parte dello Stato – tenuto conto anche di quanto sancito dai decreti del Ministero delle Risorse Agricole e Forestali in data 2.2.1994 e 2.1.1995 di attuazione della norma, nei quali è fatto chiaro riferimento all’accollo di tali garanzia da parte dello Stato, con liberazione dei soci garanti – determina l’immediata liberazione ipso iure dei debitori originari, quale conseguenza del tutto conforme alla trasparente ratio legis, supportata dal tenore delle suddette norme secondarie, che è quella di elargire una provvidenza ai soci di cooperative agricole che abbiano prestato garanzia in favore delle stesse. Una chiara conferma di tale lettura si evince, del resto, dal disposto della legge n.388 del 2000, art.126, comma 3, a tenore del quale “l’intervento dello Stato, ai sensi del D.L. 20 maggio 1993, n.237, nei confronti di soci (…) che abbiano rilasciato garanzie, individualmente o in solido con altri soci di una stessa cooperativa, determina la liberazione di tutti i soci garanti”. Invero, come ha chiaramente evidenziato la Suprema Conte, la norma non parla di pagamento da parte dello Stato, ma di “intervento” dello stesso, specificamente connotandolo, attraverso il richiamo al d.l. n. 149 del 1993, art.1, comma 1 bis, in termini di mera assunzione del debito. Ne deriva che, per quanto concerne l’assunzione delle garanzie fideiussorie i questione da parte dello Stato, l’estinzione di tali garanzie a seguito dell’assunzione a carico del bilancio statale delle garanzie prestate dai soci si cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, ai sensi dell’art. I. n. 237 del 1993, costituisce – secondo l’insegnamento della Suprema Corte – un vero e proprio diritto soggettivo dei soci medesimi, che non può essere sottoposto a limitazioni di sorta, con la conseguenza che, per effetto della suddetta liberazione, il creditore del socio garante non è legittimato ad agire in revocatoria, né in executivis, nei confronti di quest’ultimo, il quale ha perduto la qualità di debitore (cfr., Cass. n.4014/2013; n.9670/2013; n.28225/2013; n.21713/15; n.9959/17). Alla stregua dei summenzionati rilievi, l’appello merita accoglimento, con la conseguenza che, in riforma dell’impugnata sentenza, l’opposizione esecutiva proposta dagli odierni appellati deve essere accolta. Ne discende, inevitabilmente, la nullità del precetto, del pignoramento e di tutti gli atti di esecuzione successivi delle due procedure esecutive riunite n.158/92 e n.53/06. All’accoglimento dell’appello consegue a condanna della società appellata alla restituzione, in favore degli appellanti, della somma di € 6.620,00, da questi ultimi versata alla controparte per le spese processuali liquidate dal primo giudice, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento al soddisfo. Le spese del doppio grado di giudizio vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e devono, perciò, essere poste a carico dell’istituto di credito appellato, nella misura liquidata in dispositivo e con distrazione a favore dei difensori degli appellanti, dichiaratisi antistatari. Sulle richieste di estinzione delle procedure esecutive immobiliari riunite e di cancellazione dei pignoramenti dovrà provvedere il giudice dell’esecuzione. - P.Q.M. – La Corte di Appello di Bari – Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello, avverso la sentenza n.969 emessa dal Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, il 27 novembre / 2 dicembre 2014, proposto, con atto di citazione notificato il 27 febbraio 2015, da *********************************, in proprio e quale erede universale di ****************************, nel contraddittorio con l’appellata, banca ******************************, così decide: 1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie l’opposizione esecutiva proposta dagli odierni appellanti, stante l’accertata inesistenza del diritto della società appellata a procedere ad esecuzione forzata nei confronti dei debitori esecutati, a seguito della estinzione ex lege della obbligazione fideiussoria dagli stessi assunta; 2. Condanna la società appellata a rifondere agli appellanti le spese processuali relative sia al giudizio di primo grado che al presente grado di giudizio, che si liquidano, rispettivamente, in € 11.150,00 (€ 808,00 per spese borsuali ed €8.610,00 a titolo di compreso), oltre al rimborso forfettario delle spese generali (15%) e agli oneri accessori come per legge, disponendone la distrazione a favore dei difensori degli appellanti. 3. Condanna la società appellata alla restituzione, in favore degli appellanti, della somma di € 6.620,00, incamerata per le spese processuali liquidate dal primo giudice, oltre agli interessi legati dalla data del pagamento al soddisfo. Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 5 aprile 2019